La pubblicità ha lo
scopo di vendere un prodotto. Lo deve fare in pochi secondi indirizzandosi a
milioni di telespettatori, di passanti o di lettori. Essa deve semplicemente
essere facile da comprendere, semplice e potente e si fonda dunque su degli
elementi familiari nella nostra vita quotidiana. La società nella
quale viviamo é – ancora! – organizzata intorno entro rapporti di sessi dove le
donne occupano una posizione inferiore e dove la pubblicità fa da eco al
perdurare di questa situazione e fa da cassa di risonanza dei rapporti di forza
ineguali che persistono nelle nostre società.
La donna
oggetto e non soggetto
L’immagine delle
donne più diffusa nella pubblicità e quella della donna bambola, vale a dire
ridotta a un oggetto. Essendo lo scopo della pubblicità quello di far
vendere, le modelle o le attrici , spesso nude, rappresentano scene che
devono suscitare il desiderio sessuale maschile o il desiderio delle donne di
assomigliare al modello proposto.
Le donne sono quindi
utilizzate per sostenere il trasferimento del desiderio dal corpo al prodotto
perché divenga desiderabile a sua volta. Questa strategia di marketing è
classica. Ma opera quasi esclusivamente sul corpo femminile. Una pubblicità a
mezzo stampa per un fornitore di accessori internet mostrava una donna fatale,
vale a dire seduttrice e pericolosa (non siamo molto lontani dalla peccatrice
Eva), le gambe aperte come in Basic instinct: «E’ offerto per un anno, ed è
quando lo si desidera ». Sottinteso evidente: quando si acquista il
prodotto in questione, si avrà anche la donna. Certi pubblicitari ne fanno un
ornamento: «ha la macchina, avrà la donna». La pubblicità accentua dunque
questa idea, ancora ben consolidata nell’immaginario collettivo, che le donne
saranno sempre disponibili sessualmente. Si rafforzano nello stesso tempo le
donne in modelli unici di canoni di giovinezza, di bellezza e di magrezza
spesso irraggiungibile. Le donne sono dunque ridotte a un elemento parziale di
ciò che sono realmente: il loro corpo. Così facendo è accreditata l’idea che
esse non abbiano più un’identità, un’evoluzione e nemmeno dei desideri propri.
Da soggetti pensanti esse divengono oggetti. Per mantenere la posizione, non si
esita a infantilizzare le donne e a mostrarle come piccole cose fragili e non
di talento.
Vediamoci chiaro
e il punto è sempre quello...
La pubblicità sessista offende uomini e donne. Affiancare
un prodotto da vendere a una bella donna in atteggiamento compiacente è
operazione svilente nei confronti di tutti, perché riduce la
complessità e l’arricchimento delle relazioni tra i generi
privilegiandone un unico aspetto.
Il messaggio pubblicitario utilizza
meccanismi che agiscono su pulsioni basilari per stimolare nell’uomo il
desiderio di conquista e, nella donna, il processo di immedesimazione
nella modella, al fine di trasferirli sul prodotto o sul servizio
reclamizzato.
Le immagini sono fondamentali nella pubblicita',
RispondiEliminaArticolo molto eloquente
Leggete anche http://www.diaadv.it/it/brand-aziendale/
https://bellefamosecitazioni.blogspot.com/
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