venerdì 29 marzo 2013

La comunicazione non verbale di Beppe Grillo



Beppe Grillo è un’anomalia importante nella politica italiana, e lo è a maggior ragione dal 2012, quando il Movimento 5 Stelle da lui fondato riesce a far eleggere un suo esponente come sindaco di Parma (maggio 2012) e a diventare il primo partito in Sicilia (ottobre 2012). Grillo è un’anomalia anzitutto perché, pur avendo fondato un movimento politico, nasce come attore comico e vuole rimanere tale: un politico che non lo è, un leader che non si candida ma vuole fungere solo da «garante» e aggregatore di persone e risorse. Inoltre il suo stile di comunicazione si inserisce in modo coerente nella tendenza odierna verso la spettacolarizzazione della politica, una tendenza che però da un lato Grillo nega di seguire, dall’altro invece estremizza. Vediamo come.

L’aggressività verbale

Una delle prime cose che vengono in mente pensando a Grillo è il turpiloquio. Per forza: per un comico le parolacce e le invettive sono pane quotidiano. Detto in termini più precisi, Grillo fa satira politica e l’aggressività verbale fa parte di una tecnica che la satira ha sempre usato, da Aristofane in poi: la riduzione del politico alle sue miserie umane, che includono forme di irrazionalità e stupidità, difetti fisici, bassi istinti. Indirizzare al politico di turno parolacce e insulti attinenti alla sfera sessuale o escrementizia vuol dire infatti focalizzare l’attenzione sul suo corpo e alcune sue parti tabù, cancellando così la dignità che gli proviene dal potere e dal ruolo.
Il re è nudo, è come se ci dicesse di continuo Grillo, e non solo col turpiloquio: anche i nomignoli con cui ribattezza i politici hanno la stessa funzione perché riducono le persone ad aspetti o difetti fisici, o ne evidenziano la follia, la stupidità, l’età. Ecco allora che Berlusconi diventa lo Psiconano (basso e fuori di testa), Veltroni Topo Gigio (gli occhiali ricordano alcune rotondità del pupazzo, e il celebre “Cosa mi dici mai” allude al narcisismo infantile che Grillo gli attribuisce); e poi c’è Monti Rigor Montis (per il rigore nei conti pubblici e la freddezza dello stile), mentre Fornero diventa Frignero (inchiodata alle lacrime che versò presentando alla stampa la riforma delle pensioni, nel dicembre 2011); infine Grillo chiama i politici, in generale o a turno, salme o zombie, per evidenziare sia l’età avanzata sia il fatto che facciano e dicano cose per lui antiquate.

Voi, anzi: tu

Parlare di problemi politici, sociali e economici intercalando espressioni colorite implica avvicinarsi ai toni spicci del linguaggio ordinario, dove da decenni il turpiloquio è sdoganato. È così che le parolacce sono entrate in politica: per avvicinare i leader alla “gente comune”. Infatti Grillo non è né il primo né l’unico a usarle: l’hanno fatto Bossi e molti della Lega; e lo fanno, pur in modo sporadico, diversi altri politici, da Fini a Bersani, da Di Pietro a Santanchè. Sono uno di voi perché parlo come voi, è come se ci dicessero tutti.
Ma Grillo va oltre, perché preferisce non darci del voi (come uno che parla a molti, dall’alto), ma direttamente il tu (uno a uno, fra pari), sia che parli a una persona singola, a un capannello di cittadini, o a una folla acclamante. «Io giro in mezzo alla gente, vedi, per capire cosa pensano» dice a Palermo il 25 ottobre 2012 camminando verso la piazza dove terrà un comizio. E lo dice al giornalista con telecamera, come al cittadino dietro e a chiunque guarderà il video. Sul palco, poi, davanti a migliaia di persone, esordisce sempre con un «Signori!» come per indicare il massimo rispetto, e poi ovviamente usa il voi (non potrebbe fare altrimenti), ma cerca subito di estrarre dalla moltitudine un tu: o generico («siamo un paese fallito, ti danno un lavoro, ma lo stipendio ce lo metti tu», Catania 24 ottobre 2012) o un tu rivolto a qualcuno in particolare («Dov’è la televisione giapponese, fatti vedere!»). Insomma Grillo non si limita come tanti politici a dire sono uno di voi, ma col tu si pone in dialogo paritetico con ciascuno (io sono come te), fin quasi a identificarsi con l’altro, dicendo lui stesso ciò che l’altro direbbe (io sono te).

Il corpo, le emozioni

Non si può capire Grillo senza considerare il suo uso del corpo: vigoroso, esagerato, estremo. Grillo non afferma, esclama; non parla, grida fino a perdere la voce; non suda, s’inzuppa; non gesticola, si scompone. Sul palco non si limita a camminare, ma lo percorre a grandi falcate; e non gli basta rivolgersi al pubblico, ma si piega a novanta gradi, si abbassa, si sporge oltre le sbarre e transenne, come per tuffarsi nella gente. Ma anche la faccia: sempre mobilissima e pronta a trasformarsi, passando in un lampo dal comico al tragico, e viceversa. Infine le azioni spettacolari, culminate nel tour di Sicilia dell’ottobre 2012, che comincia con la traversata a nuoto e prosegue in camper, ma anche a piedi, di corsa, sul carretto siciliano.
La principale funzione del corpo, in comunicazione, è esprimere emozioni: rabbia, allegria, stupore, dolore sono quelle che più spesso gli leggiamo in faccia: rabbia per le storture della politica, dell’economia, della “casta”; dolore empatico per le conseguenze che le storture portano nella nostra vita; stupore quando le storture sono così gravi «da non crederci»; infine allegria quando dice o fa cose che fanno ridere: ridono gli altri e lui per primo, assieme a loro. Tutto ciò conferisce autenticità al suo discorso: se chi parla mostra di essere emotivamente coinvolto, è più probabile sia considerato sincero; se poi si mostra addirittura molto coinvolto, è più probabile che le persone credano che ciò che dice non solo rispecchi le sue convinzioni (è sincero), ma corrisponda a ciò che accade (dice la verità). Con tutta l’energia che ci mette, saprà quel che dice, viene da pensare. Fra l’altro, l’uso estremo del corpo rinforza, da un lato, le parolacce e invettive, dall’altro la fusione col pubblico, che diventa quasi fisica.

I paradossi

Tutto ciò produce esiti paradossali: proprio Grillo, che fa della critica ai partiti e alla “casta” un asse portante del suo successo, in realtà non solo usa ma estremizza alcune tecniche della politica mediatizzata e spettacolarizzata: dal turpiloquio alla centralità del corpo, passando per la presunta parità fra il leader e i cittadini. Proprio Grillo, che se la prende con la televisione, in realtà fa notizia tutti i giorni con azioni e toni che – non può non saperlo – paiono fatti apposta per irretire i media. Certo, bisogna distinguere fra Grillo e gli attivisti del movimento, che per ora (novembre 2012) sono ancora lontani da queste pratiche, come lo stesso Grillo vuole. Ma resisterà nel tempo la differenza? Riusciranno davvero, gli attivisti 5 Stelle, a comunicare solo su Internet e sul territorio, senza cedere alla televisione? Riusciranno a rinnovare la democrazia come dicono? Se così fosse, sarebbero un’avanguardia interessante anche nel panorama internazionale. Ma è presto per dirlo. E l’impresa è ardua.