Beppe Grillo è un’anomalia
importante nella politica italiana, e lo è a maggior ragione dal 2012, quando
il Movimento 5 Stelle da lui fondato riesce a far eleggere un suo esponente
come sindaco di Parma (maggio 2012) e a diventare il primo partito in Sicilia
(ottobre 2012). Grillo è un’anomalia anzitutto perché, pur avendo fondato un
movimento politico, nasce come attore comico e vuole rimanere tale: un politico
che non lo è, un leader che non si candida ma vuole fungere solo da «garante» e
aggregatore di persone e risorse. Inoltre il suo stile di comunicazione si
inserisce in modo coerente nella tendenza odierna verso la spettacolarizzazione
della politica, una tendenza che però da un lato Grillo nega di seguire,
dall’altro invece estremizza. Vediamo come.
L’aggressività verbale
Una delle prime cose che vengono in
mente pensando a Grillo è il turpiloquio. Per forza: per un comico le parolacce
e le invettive sono pane quotidiano. Detto in termini più precisi, Grillo fa
satira politica e l’aggressività verbale fa parte di una tecnica che la satira
ha sempre usato, da Aristofane in poi: la riduzione del politico alle
sue miserie umane, che includono forme di irrazionalità e stupidità, difetti
fisici, bassi istinti. Indirizzare al politico di turno parolacce e insulti
attinenti alla sfera sessuale o escrementizia vuol dire infatti focalizzare
l’attenzione sul suo corpo e alcune sue parti tabù, cancellando così la dignità
che gli proviene dal potere e dal ruolo.
Il re è nudo, è come se ci dicesse di continuo Grillo, e non solo col
turpiloquio: anche i nomignoli con cui ribattezza i politici hanno la stessa
funzione perché riducono le persone ad aspetti o difetti fisici, o ne
evidenziano la follia, la stupidità, l’età. Ecco allora che Berlusconi diventa
lo Psiconano (basso e fuori di testa), Veltroni Topo Gigio (gli
occhiali ricordano alcune rotondità del pupazzo, e il celebre “Cosa mi dici
mai” allude al narcisismo infantile che Grillo gli attribuisce); e poi c’è
Monti Rigor Montis (per il rigore nei conti pubblici e la freddezza
dello stile), mentre Fornero diventa Frignero (inchiodata alle lacrime
che versò presentando alla stampa la riforma delle pensioni, nel dicembre
2011); infine Grillo chiama i politici, in generale o a turno, salme o zombie,
per evidenziare sia l’età avanzata sia il fatto che facciano e dicano cose per
lui antiquate.
Voi, anzi: tu
Parlare di problemi politici,
sociali e economici intercalando espressioni colorite implica avvicinarsi ai
toni spicci del linguaggio ordinario, dove da decenni il turpiloquio è
sdoganato. È così che le parolacce sono entrate in politica: per avvicinare i
leader alla “gente comune”. Infatti Grillo non è né il primo né l’unico a
usarle: l’hanno fatto Bossi e molti della Lega; e lo fanno, pur in modo sporadico,
diversi altri politici, da Fini a Bersani, da Di Pietro a Santanchè. Sono
uno di voi perché parlo come voi, è come se ci dicessero tutti.
Ma Grillo va oltre, perché
preferisce non darci del voi (come uno che parla a molti, dall’alto), ma
direttamente il tu (uno a uno, fra pari), sia che parli a una persona
singola, a un capannello di cittadini, o a una folla acclamante. «Io giro in
mezzo alla gente, vedi, per capire cosa pensano» dice a Palermo il 25 ottobre
2012 camminando verso la piazza dove terrà un comizio. E lo dice al giornalista
con telecamera, come al cittadino dietro e a chiunque guarderà il video. Sul
palco, poi, davanti a migliaia di persone, esordisce sempre con un «Signori!»
come per indicare il massimo rispetto, e poi ovviamente usa il voi (non
potrebbe fare altrimenti), ma cerca subito di estrarre dalla moltitudine un tu:
o generico («siamo un paese fallito, ti danno un lavoro, ma lo stipendio ce lo
metti tu», Catania 24 ottobre 2012) o un tu rivolto a qualcuno in
particolare («Dov’è la televisione giapponese, fatti vedere!»). Insomma Grillo
non si limita come tanti politici a dire sono uno di voi, ma col tu
si pone in dialogo paritetico con ciascuno (io sono come te), fin quasi
a identificarsi con l’altro, dicendo lui stesso ciò che l’altro direbbe (io
sono te).
Il corpo, le emozioni
Non si può capire Grillo senza
considerare il suo uso del corpo: vigoroso, esagerato, estremo. Grillo non
afferma, esclama; non parla, grida fino a perdere la voce; non suda, s’inzuppa;
non gesticola, si scompone. Sul palco non si limita a camminare, ma lo percorre
a grandi falcate; e non gli basta rivolgersi al pubblico, ma si piega a novanta
gradi, si abbassa, si sporge oltre le sbarre e transenne, come per tuffarsi
nella gente. Ma anche la faccia: sempre mobilissima e pronta a trasformarsi,
passando in un lampo dal comico al tragico, e viceversa. Infine le azioni
spettacolari, culminate nel tour di Sicilia dell’ottobre 2012, che comincia con
la traversata a nuoto e prosegue in camper, ma anche a piedi, di corsa, sul
carretto siciliano.
La principale funzione del corpo, in
comunicazione, è esprimere emozioni: rabbia, allegria, stupore, dolore
sono quelle che più spesso gli leggiamo in faccia: rabbia per le
storture della politica, dell’economia, della “casta”; dolore empatico
per le conseguenze che le storture portano nella nostra vita; stupore
quando le storture sono così gravi «da non crederci»; infine allegria
quando dice o fa cose che fanno ridere: ridono gli altri e lui per primo,
assieme a loro. Tutto ciò conferisce autenticità al suo discorso: se chi
parla mostra di essere emotivamente coinvolto, è più probabile sia considerato
sincero; se poi si mostra addirittura molto coinvolto, è più probabile
che le persone credano che ciò che dice non solo rispecchi le sue convinzioni (è
sincero), ma corrisponda a ciò che accade (dice la verità). Con
tutta l’energia che ci mette, saprà quel che dice, viene da pensare. Fra
l’altro, l’uso estremo del corpo rinforza, da un lato, le parolacce e
invettive, dall’altro la fusione col pubblico, che diventa quasi fisica.
I paradossi
Tutto ciò produce esiti paradossali:
proprio Grillo, che fa della critica ai partiti e alla “casta” un asse portante
del suo successo, in realtà non solo usa ma estremizza alcune tecniche della
politica mediatizzata e spettacolarizzata: dal turpiloquio alla centralità del
corpo, passando per la presunta parità fra il leader e i cittadini. Proprio Grillo,
che se la prende con la televisione, in realtà fa notizia tutti i giorni con
azioni e toni che – non può non saperlo – paiono fatti apposta per irretire i
media. Certo, bisogna distinguere fra Grillo e gli attivisti del movimento, che
per ora (novembre 2012) sono ancora lontani da queste pratiche, come lo stesso
Grillo vuole. Ma resisterà nel tempo la differenza? Riusciranno davvero, gli
attivisti 5 Stelle, a comunicare solo su Internet e sul territorio, senza
cedere alla televisione? Riusciranno a rinnovare la democrazia come dicono? Se
così fosse, sarebbero un’avanguardia interessante anche nel panorama
internazionale. Ma è presto per dirlo. E l’impresa è ardua.